Giovanni Buzi, Corpo (1987)

 

Giovanni Buzi: Bianco



Dove sono?...
Sono forse morto?
Sorrido... Riesco ancora a sorridere. A respirare.
Sto faccia a terra. Ma quale terra?
In che anno siamo?
Come ho potuto perdere del tutto la memoria?


***


A occhi chiusi, cerco di capire su quale superficie mi trovo. Né liscia
né rugosa. Né fredda né calda. Né morbida né dura. Sembra plastica o
pelle. Quel tipo di plastica che imita la pelle. Anche dall'odore sembra
qualcosa più vicina alla gomma che al cuoio. Schiudo le labbra e sento
con la lingua. Non sa di morte, quel sapore inconfondibile di pelle
trattata con acidi.
Non oso muovermi.
Forse, ho le ossa fracassate. Forse, c'è qualcuno che mi sta guardando.
O più d'uno...
Chi?
Resto all'ascolto. Niente, nessuno.
Muovo un braccio.
Riesco a muoverlo! Porto una mano al viso. M'è cresciuta la barba.
Quanti giorni sono che non mi rado?... Non resisto: devo sapere, voglio
vedere!
Apro di scatto gli occhi.
Bianco.
Puro bianco.
Solo bianco.


***


Resto col torace incollato al suolo.
Sono ferito?
Non avverto dolori, solo uno stordimento, come avessi ricevuto un forte
colpo dietro alla nuca. Non ho né freddo né caldo. Alzo il mento da
questa superficie di plastica liscia, opaca. A qualche metro da me, un
muro. Sembra della stessa materia, della stessa consistenza gommosa.
Indubbiamente è dello stesso colore: bianco. Mi guardo intorno: quattro
pareti, pavimento e soffitto completamente bianchi. Nessuna finestra.
Nessuna porta. Nessun rumore. Neanche un brusio di sottofondo. Dove
sono, cosa faccio qui?


***


Mi alzo. A parte lo stordimento, niente di rotto. Non sono ferito,
neanche contuso. Indosso ho pantaloni e casacca d'una stoffa che sembra
cotone: bianca. Né scarpe né calzini. Nient'altro su di me, neanche un
orologio.
Che ore sono? Che giorno, mese, anno, millennio?...
Possibile che abbia perso del tutto la memoria?
Eppure... una visione... come un'immagine sembra emergere dalle acque
torbide d'un lago. Grigio scuro... sembra asfalto. Sì, è una strada
asfaltata! Un marciapiede, facciate di palazzi, finestre... Che città
è?... Un movimento dietro un albero; qualcuno s'avvicina. Un viso, una
bocca: "Buongiorno, signor..." e tutto sparisce. "Signor...", era il
mio nome quello che seguiva? Il mio nome... Come mi chiamo?
La vista s'annebbia. Il bianco che mi circonda da ogni lato si sfoca, si
fa traslucido come ghiaccio. Devo restare sveglio, non voglio perdere il
poco che mi resta di coscienza. Spingo i pugni sulle palpebre chiuse: un
lampo rosso!
Riapro gli occhi e intorno a me: bianco, bianco, solo bianco!


***


Ma che cazzo ci faccio dentro questo cubo bianco?
Chi mi ci ha messo, perché?
Nessuna finestra, nessuna porta, nessuna apertura. Il pavimento
dev'essere più o meno quattro metri su quattro, come le pareti e il
soffitto. M'avvicino a una parete; c'è una sorta di lavabo con sopra un
tubo. Passo sotto una mano ed esce un getto d'acqua. Solo in quel
momento mi rendo conto della sete che ho. A bocca aperta bevo, bevo,
bevo! Se hanno intenzione di farmi morire, non è di sete.
Ma chi e cosa vogliono di preciso da me?...
In un angolo della parete di fronte a quella col lavabo vedo qualcosa a
terra. C'è un'apertura nel pavimento, un buco d'una decina di centimetri
di diametro. Sarebbe lì che... Per forza, o lì o sul pavimento. Sento la
vescica piena. Ne approfitto; abbasso i pantaloni, e piscio. Che
sollievo!...
Mi sento stanco, molto stanco. Istintivamente mi dirigo verso l'angolo
opposto, mi sdraio a terra, abbasso le palpebre.


***


Nel dormiveglia, m'appare un'infinita scacchiera a tasselli colorati.
Giallo, rosa, verde, arancio, viola, rosso, turchese... A turno, senza
nessuna logica apparente, s'accendono, s'illuminano sempre più, poi si
scuriscono e si spengono. Non resta che un nero opaco, una superficie di
lago notturno che un vento debole increspa. Un vento che non fa rumore.
Ho l'impressione di sollevarmi, lievitare... Senza peso navigo in uno
spazio senza gravità, in un universo senza più centro né periferia.
Sono nello stesso tempo in ogni luogo e in nessuno.
Scomparso ogni affanno, ogni timore.
Sereno, immerso in un oceano fluido e nero, vellutato come inchiostro.
Dagli strati di buio e silenzio prende corpo un segno mobile. S'accende
di blu e s'agita come un serpente degli abissi. Un altro, un altro
ancora... in pochi secondi sono circondato da milioni di queste creature
che schizzano veloci e squarciano le tenebre in un dibattersi luminoso,
accecante!
Apro di scatto gli occhi e intorno a me tutto torna... bianco.


***


Quanto tempo ho dormito? Lo sciamare di quelle serpi fluorescenti m'ha
rinvigorito. Mi sento molto meglio. Sparito anche il mal di testa.
M'alzo. Stiro i muscoli. Respiro a fondo. Mi guardo intorno; non vedo
nessuna fonte luminosa, eppure all'interno del cubo c'è un chiarore
diffuso, costante. Da dove viene? Dovrei smetterla di farmi domande.
L'unica cosa che posso fare all'interno di questa prigione è cercare
d'esplorarla. Vero è che c'è poco da esplorare. Tranne il lavabo, il
tubo e il buco nell'angolo, non ci sono che quattro pareti, pavimento e
soffitto completamente lisci, della stessa materia bianca.
Con la coda dell'occhio un riflesso; come un balzo di luce proviene da
una parete! M'avvicino e all'altezza dei miei occhi scopro uno specchio
di circa venti centimetri su venti incastonato nella materia plastica.
Mi guardo. Quella faccia non mi dice niente. Un perfetto estraneo; un
uomo d'una trentina d'anni, occhi e capelli neri, barba incolta su
guance incavate e mascella regolare. Una faccia come tante. Possibile
che quel viso sia il mio? È questo che gli altri vedono quando mi
guardano? Scoppio a ridere: quali altri?... Chi potrebbe vedermi
all'interno di questa scatola bianca e come?


***


La cosa più terribile è perdere la nozione del tempo. Per me non esiste
più né notte né giorno, né sole né stelle, ma un solo istante
biancastro, stirato come un laccio elastico all'infinito. Per non
restare sempre seduto a terra, cammino in circolo, corro. Più veloce,
sempre più veloce... Stremato, mi lascio cadere sul pavimento. Spero una
sola cosa: che almeno il sonno mi porti via da questo cubo.


***


Mura bianche, porte chiuse, scale di pietra. Strade vuote. Tagli di luce
ed ombra. Rondini rigano un cielo azzurro. Laggiù, tre palme frusciano
al vento. Dove sono?...
Profumo di spezie e mare. Da una muraglia scende un glicine in fiore.
Profumatissimo. Muri, ancora muri. Vie s'intrecciano come trame d'un
tappeto. Spigoli bianchi. Porte chiazzate di verde muschio. Scale
scendono tra vicoli, altre salgono e restano sospese. Nel vuoto.


***


Non ricordo quando è successo per la prima volta. Stavo seduto a terra
quando ho sentito un leggero ronzio. Mi sono girato. In fondo a una
parete ho visto aprirsi un rettangolo di circa venti centimetri
d'altezza per quaranta di larghezza. Ho irrigidito ogni muscolo, pronto
a scattare, fuggire (dove?...). Con mia grande meraviglia, ho visto
uscire un vassoio con sopra una ciotola. Stesso ronzio e la parete s'è
richiusa. Come un animale selvatico, sono restato immobile, circospetto.
Passato qualche minuto, con cautela mi sono avvicinato. Nella ciotola
c'era una poltiglia biancastra. Sembrava commestibile. Non sapevo
d'avere così fame. Ho annusato. Nessun odore. Ho messo un dito in quella
poltiglia. Sembrava riso stracotto nel latte. Ne ho assaggiata un po'.
Nessun sapore. Ma avevo fame; il contatto con quella materia
dall'aspetto commestibile m'aveva risvegliato un crampo allo stomaco. Ho
divorato quella roba come una belva che non ha mangiato da giorni.
All'inizio tenevo la ciotola con la mano sinistra e con la destra
portavo quella roba alla bocca. Un po' m'è caduta. Ho continuato a
mangiare, a leccare tutto a quattro zampe come un cane. Né buona, né
cattiva: insipida. Ma scendeva nello stomaco e calmava la fame. Finita,
mi sono accorto che anche la ciotola e il vassoio erano commestibili;
una specie di ostia compatta e friabile. Ho divorato tutto, ho leccato
ogni briciola a terra. Sazio, mi sono disteso sul pavimento e ho cercato
di non pensare. Ho chiuso gli occhi e, pancia in sotto, mi sono girato.
Ho sentito lo stomaco digerire ogni molecola, assorbire nuove energie.
Lentamente, nella mia mente ha preso forma uno sciabordare d'onde...
Profumo di salsedine. Calore. Di fronte, aperto, sconfinato un oceano di
luce. Il rumore delle onde sembrava placarsi in un accordo oleoso...
Parole sussurrate... a occhi chiusi, ho sentito carezze... Il mio sesso
s'è indurito. Al ritmo delle onde, l'ho passato sulla superficie di
plastica, che ai miei sensi s'era trasformata in sabbia calda,
accogliente. Ho fatto l'amore con la terra, coi raggi del sole, col
vento che veniva dal mare. Il ritmo s'è intensificato. Il mio cazzo è
lama che penetra la sabbia, lacera, feconda. Un urlo e nella mente è
esploso un lampo blu! Ho aperto gli occhi e sono restato a guardare...
il bianco sul bianco.


***


Non voglio addormentarmi. Più d'una volta sono stato assalito da incubi
terribili: esseri viscidi, mostruosi che mi circondavano da ogni parte,
s'avvicinavano con aliti nauseanti, tentacoli squamosi, aculei, denti
ricurvi, artigli. Sono troppo stanco, non riesco a tenere gli occhi
aperti. Flash e suoni confusi, voragini, colate di lava... tutto viene
assorbito da una nebbia mobile, fluida che s'ispessisce fino a diventare
una lastra di luminosità astratta, lattea.

 


***


Non ho trovato carta igienica, né dentifricio, asciugamani, sapone.
M'arrangio. E sempre questo cazzo di bianco tutt'intorno!
Bianco bianco bianco!
Dappertutto bianco!
Solo bianco!
Sto diventando pazzo o già lo sono?
Chiudo gli occhi e vedo ancora...
BIANCO.


***


Ho deciso: lo distruggerò. O sarà il Bianco a distruggere me.
Come?...
Non ho inchiostro, colori, vernici; niente di niente. Sì, una cosa ce
l'ho ancora: il mio corpo.
Merda.
La prossima volta non la farò nel buco. Accovacciato al centro della
stanza, mi concentro e riesco a fare un grosso stronzo marrone scuro.
Perfetto. Senza far caso alla puzza e al disgusto, affondo le mani nella
merda e comincio a tracciare sul pavimento cerchi, spirali, impronte di
mani, rette, zig zag... Vengo assalito da una vertigine euforica e
insozzo con la merda pavimento e pareti. Mi guardo intorno: ho distrutto
il Bianco! Almeno l'ho graffiato, sventrato. Quella puzza nauseabonda mi
entra nei polmoni, nello stomaco, in tutto il corpo. Vomito! A getti
violenti, acidi. Che schifo... tutto questo esce da me, dal mio corpo!
Perché questa tortura?
Perché?
Cado a terra e, faccia al pavimento, chiudo con forza gli occhi. Urlo,
fino a cancellare il silenzio, fino a che la gola si secca e non ho più
fiato.



***


Ho pulito tutto.
Mi ci è voluto molto tempo. Ho utilizzato l'acqua del rubinetto e i miei
vestiti. Nudo, sto seduto in un angolo. Meglio il bianco o la merda?
Difficile scegliere.
Ho deciso: giocherò d'astuzia; cercherò di vedere cosa c'è al di là
della parete nel momento in cui esce il vassoio. A che mi servirà? Forse
a niente, ma voglio tentare. La cosa complicata sarà indovinare da dove
uscirà il vassoio; la "finestra" s'apre ogni volta in un punto
differente. Mi siedo al centro del pavimento. Ho deciso di contare fino
a 100 prima di spostare lo sguardo su un'altra parete. L'uscita del
primo vassoio l'ho mancata, così come le tre seguenti. Ma la quarta non
m'è sfuggita! Ero arrivato a contare fino a 36, quando ho sentito quel
"bzzz" e ho visto aprirsi la "finestra". Mi sono catapultato in avanti
fissando l'apertura. Con un colpo d'avambraccio, ho tolto di torno il
vassoio e ho puntato lo sguardo al di là della parete.
Niente.
Niente, cazzo, niente!
Anche di là: bianco, bianco solo bianco!
Mi sono alzato e ho dato testate violente contro quel muro capace
d'assorbire ogni colpo. Non sono riuscito nemmeno a farmi male!! Anche
il lavabo e il tubo sono della stessa materia insensibile, spugnosa. Ho
infilato un braccio nel buco dove faccio i miei bisogni. Ho annaspato a
destra, sinistra. L'ho tirato fuori e l'ho guardato con disgusto: cosa
ci si poteva trovare in un buco dove si caca e si piscia?


***


Quanto tempo è passato?
Non lo so e non voglio saperlo. Al centro del pavimento, braccia sotto
la nuca guardo in alto. Lassù, oltre il soffitto, mi sembra di veder
muoversi lente ondate di vapore che s'accorpano, s'ingrossano,
sfilacciano... Poco a poco quelle nuvole scompaiono; resta un cielo
color celeste chiaro, trasparente. Lontano, maestoso vedo il volo d'un
uccello... Dev'essere un condor, o un'aquila.
Un volo planare, lento, spiraliforme.
Sta cercando una preda, un roditore, un serpente tra le rocce o una
carcassa? Si dice che quei rapaci possano sentire il puzzo d'una carogna
a chilometri di distanza. Com'è bello quel volo!... Sembra rintracciare
traiettorie antiche, misteriose piste legate al movimento delle stelle.
Chi direbbe che è soltanto una danza di morte?


***


Cosa stanno aspettando? Cosa vogliono da me?
CHI??...
Aspettano forse che canti, che inizi a saltellare e cinguettare come un
canarino? Che ballonzoli da una parete all'altra come una scimmia, che
in qualche modo li diverti?...
Accontentiamoli.
E come un canarino saltello e cinguetto, come un saltimbanco faccio
piroette, come una scimmia ammaestrata ballo e mostro la faccia contorta
in smorfie, le braccia-ali il torace la pancia il cazzo il culo...
Niente.
Non sono ancora contenti!
Non si manifestano.
Restano nell'ombra, oltre il loro BIANCO di merda!
M'accascio a terra.
Non ho voglia d'urlare.
Cosa, contro chi?
La testa contro una parete, ho l'impressione di sentire qualcosa... come
una musica lontana... o no, è un canto, il canto d'un vero usignolo...
da dove viene?... chi l'ha portato fin qui? forse è arrivato da solo,
m'ha sentito cantare e risponde... Scrosci d'acqua... fruscii del vento
tra fronde d'alberi... dove sono?... ruscelli, rocce, tremiti d'acque
pure e trasparenti... devo essere in montagna... voci... Sì, voci umane!!
Qualcuno chiama un nome... il mio? Un trillo... uno scampanio... un
carillon... una ninnananna... dolce, mi culla dolce... occhi
scintillanti, un sorriso rosa... sì, ricordo: è mia madre. È mia madre
che mi chiama.


***


Ho deciso di farla finita. E so anche come.
Mi lascerò morire di fame.
Avrò il coraggio d'andare fino in fondo?
Guardo la pappa insipida nella ciotola, e per la prima volta non sento
fame. Qualcosa m'impedisce d'ingoiarla.
Perché restare in vita, in queste condizioni?
Potrei aprirmi le vene e morire dissanguato; più rapido e meno doloroso.
Almeno la mia ultima visione non sarebbe questo bianco che mi porta ogni
istante verso la follia. Vedrei rosso, rosso. Ma ho il terrore del
sangue... non ho mai potuto sopportarlo, né il colore, né l'odore, né la
consistenza. Mi fa ancora più ribrezzo del bianco.
Come ammazzarmi allora?
Darmi pugni sulle tempie, sbattermi contro queste mura bianche, molli,
indifferenti a tutto, anche alla rabbia?
Non mi resta che morire di fame.
Il difficile sarà gettare vassoio e ciotola nel buco dove faccio i
bisogni. Sarà questione di pochi attimi, il tempo d'accartocciare e
gettare tutto dentro come fosse merda.


***



Sono già più di dieci vassoi che riesco a gettare nel buco senza neanche
guardarli. Ho fame, ma ormai ho deciso: non voglio tornare indietro. E
il tempo passa... le forze m'abbandonano... non getto neanche più i
vassoi nel buco, li lascio marcire là dove escono dalle pareti... E il
tempo passa...
Quanto?...
Faccia a terra. Occhi chiusi. Quando sento che ogni forza mi sta per
abbandonare, con uno sforzo sovrumano, strappo coi denti la pelle
dell'indice della mano destra e col sangue traccio una sola parola:
"Stronzi".

***



All'interno del cubo, una delle pareti si sgrana fino a scomparire.
Attraverso una nebbia biancastra, appaiono due forme. Due sfere
semitrasparenti dal diametro di circa un metro; una azzurra, l'altra
viola. Senza toccare il suolo scivolano lentamente e s'avvicinano al
corpo immobile a terra. La sfera azzurra s'accende all'interno di
pulsazioni, ramificazioni; sta comunicando con l'altra. Tradotto nel
nostro italiano suonerebbe pressappoco così:
- Allora, che te ne pare?
La sfera viola s'anima a sua volta,
- Siamo nella norma: 56 giorni, più o meno come gli altri.
- Pensi che ci saranno modifiche da fare?
- Sarà il laboratorio a deciderlo. Prelevo il dischetto.
Dalla sfera viola s'allunga un braccio-tubo semitrasparente che va a
posarsi dietro all'orecchio del corpo riverso a terra. Spinto un bottone
sottopelle, dal centro del cranio scatta su un dischetto simile ad un
CD. Il braccio-tubo l'afferra al volo e lo veicola all'interno della
sfera che di nuovo emette vibrazioni luminose: - Fatto, non ci resta che
sollevare il corpo e portare tutto in laboratorio.
Dalle due sfere si libera un fascio d'onde appena visibili che fremono
nell'aria e sollevano il corpo come fosse un foglio di carta.
- Ehi, guarda là! - s'illumina la sfera azzurra.
- Dove?
- Là a terra.
- Che roba è quella?
- Me lo chiedo, è la prima volta che capita.
- Che stranezze ha tracciato a terra?
- Mai vista una cosa simile.
Sul pavimento risaltava d'un acceso rosso carminio la parola "stronzi",
scritta col sangue artificiale del robot modello Terra-Uomo numero 86 in
CSPB (Collaudo Sopravvivenza Profondo Bianco). Secondo le recenti leggi
dell'agosto 18045, sul pianeta Astrolabio della Galassia Ifigenia, era
diventato obbligatorio, prima di venir immessi sul mercato, il collaudo
di 100 esemplari d'ogni nuovo modello di robot. I modelli Terra-Uomo
erano costruiti con una nuova tecnica che utilizzava campioni congelati
di vero DNA degli estinti abitanti della Terra, un pianeta facente parte
del sistema solare, esploso da millenni. Ciò che più si temevano erano
eventuali "interferenze"; gli abitanti di Astrolabio avevano già avuto
spiacevoli incidenti con la produzione di robot manipolando materiale
proveniente, tramite commercio intergalattico, da luoghi e tempi remoti.
- Scatta una raggio-foto, la porteremo al laboratorio.
Dal corpo della sfera rossa schizza a terra un lampo; la strana scritta
è registrata. Quello era il solo robot che prima dell'autodistruzione
aveva lasciato una traccia tanto curiosa. Non restava che consegnare
tutto al laboratorio e aspettare i risultati.