Giovanni Buzi, Angelo Cornuto (2005)

 

Giovanni Buzi: Elettrone libero

 

Non avrei dovuto incontrarti.
Mai.
Una scarica elettrica; questo sei stato per me.
“Colpo di fulmine”, non ci fosse quest’espressione, l’avrebbero inventata per il nostro incontro. O meglio, dell’effetto che incontrarci ha avuto su di me. Tu non t’eri neanche accorto che qualcuno s’era seduto accanto. Poi sì, hai avuto l’impressione d’un qualcosa... Il tuo sguardo s’è imbattuto in una faccia come tante, un corpo come tanti. Non potevo immaginare che per te un corpo era solo carne, peso, ostacolo.
Esagero?
Non credo.
Per una volta, lasciami il ruolo dell’approssimativo, di chi non si cura delle mezze tinte. Le sfumature non sono mai state il tuo forte; sono io il sensibile, l’artista.
Il coglione, in poche parole.
Tu sei puro istinto, pura bestialità, pura energia.
Diciamo: istinto, bestialità, energia, l’aggettivo che precede ti s’addice poco. Riconosco che hai la pura bellezza e la pura vitalità d’un elettrone.
Un elettrone libero.
Impossibile catturarti, metterti in scatola.
Ci ho provato.
M’è andata male.
Cosa potevo fare, se non tentare d’agganciarti alla mia orbita d’eterno nucleo solitario?

***

Perché non sono andato al mare con Graziella anche quella domenica?
Pace, tranquillità...
La spiaggia  di Torvaianica deserta, quel po’ di sole che c’è ai primi d’aprile. Passeggiata, ristorante, le solite chiacchiere, i soliti sbadigli nascosti dietro al tovagliolo. La mia cara amica Graziella, 55 anni portati meravigliosamente, cerca marito.
- Marito... non esageriamo niente! Un amico-amante, un inciucio qualsiasi che me lo sbatti in questa camera oscura che non impressiona più nessuno!
- In genere, il ruolo della consolatrice è il tuo.
- Mi sono rotta!, quasi urlò Graziella, attenta a raccogliere col tovagliolo una lacrima. La monaca di Monza ha visto più piselli!
- Cambiamo argomento, dissi affondando il cucchiaino nel tiramisù.
Perché non sono andato anche quella domenica al mare con quell’eterna zitella di Graziella?
Sono voluto andare in sauna.

***

A volte, mi vedo come una pallina sbattuta in un flipper manomesso. Tutto programmato, tutto manipolato.
Non so chi e cosa avevano combinato, il fatto è che TU quel cazzo di giorno stavi lì, in quel cazzo di posto, seduto su quel cazzo di sgabello, con quella cazzo di birra in mano e con quel cazzo... di sorriso!
Mi siedo.
Nessuna reazione da parte tua.
Non scoraggiamoci; perché sì un bel fico lo eri. Cosce aperte, un asciugamano intorno alla vita che, capriccio del caso o arte sopraffina, lasciava scoperto un bel coglione con annesso attacco d’apparato riproduttivo.
Avevi una mezza erezione... Cose che capitano. Ma insomma, proprio nel momento in cui mi sono seduto a meno di 20 centimetri da quella centrale elettrica che sei. Che eri.
Ho chiesto una birra.
“Che occhi, l’animaccia tua! Grigioverde da infarto!”. Non solo l’ho pensato, te l’ho detto in faccia, senza tanti complimenti. Che volete, dopo qualche annetto d’allenamento due, tre “attaccaparola” l’avrò pure in riserva per - tentare - di rimorchiare i bei fusti.
Hai scolato il bicchiere, l’hai rimesso sul bancone di falso marmo e hai detto:
- Un’altra!
Droghe varie, vestiti di marca, spendi e spandi; tanti vizi, ma il ringraziare no, quello non l’avevi. Né grazie, prego, scusa, buongiorno, buonanotte: non era nel tuo stile. Sorridere sì, ringraziare & company no.
- Scemo non è, ha detto Graziella quando le ho raccontato tutto.
Scemo no, ma stronzo lo eri, e felice d’esserlo.
Ti sei voltato e m’hai detto:
- Scopiamo?
Un mezzo sorriso e con tutto il candore di cui sono ancora capace, ho risposto:
- Ok.
Hai ripetuto:
- Ok.
Di filato in una cabina dai muri rosso sangue e materassino nero gomma. Hai divaricato le gambe, l’asciugamano blu elettrico è scivolato giù: è apparso il tuo pungiglione. Eretto. Duro.
Che cazzo!
E come l’hai usato!
Scalpello col quale volevi lasciare un ultimo Vaffanculo all’intera umanità! Non so se l’umanità intera ha ricevuto il messaggio... io sì.
Il giorno dopo stavo dal medico.
- Rottura dell’ano.
- Ah!, è la prima stronzata che m’è uscita di bocca. La seconda: com’è potuto succedere?
- Questo dovrebbe spiegarmelo lei.
- Enorme, duro, affamato. Le devo dire cosa?
Dopo due settimane è venuto a vivere da me. Non il medico, Elvio, l’elettrone libero. L’avevano sfrattato e vivere in due o più non lo sopportava, aveva i suoi ritmi.
Fortuna che ho due stanze da letto. Scopare nel mio letto, nessun problema, dormire con me, abbandonarsi nelle mie braccia, chiudere gli occhi e farmi condividere un po’ dei suoi sogni, neanche a sognarlo...
Una valigia, era tutto quello che aveva. Nessun mobile, non gli piacciono. Ingombrano spazio, spazio che lui vuole libero, aperto, pronto per essere attraversato, bruciato... da una scarica d’energia, un lampo a cielo sereno, un elettrone libero, come lui era.
Come lui adesso è.
In tre mesi m’hai quasi ridotto sul lastrico.
Quando ha capito che le mie risorse scemavano, una bella mattina m’ha detto:
- Un amico m’ha invitato a fare il giro del mondo, che dici, ci vado?
Schiuma da barba in faccia, t’ho fissato nello specchio. M’hai concesso ancora una notte d’amore, ripeto le tue esatte parole. Ho accettato. Ma quella notte avremmo scopato a modo mio.
T’ho legato nudo ad una poltrona.
Bello sì, lo eri.
Da togliere il respiro.
Ho giocherellato un po’ con gli anelli metallici che avevi ai capezzoli. Mi guardavi e a modo tuo sorridevi. Forse, ti facevo anche un po’ pena. Il grigioverde dei tuoi occhi s’è ghiacciato. Ho preso un cavo elettrico e t’ho fissato due morsetti ai piercing.
Non hai capito subito...
Un amico elettricista m’aveva fatto un congegno collegato all’interruttore dell’alogena. Giocando col dosatore potevo far passare corrente ai morsetti. Hai riso:
- Cazzo, non ti facevo così moderno!
T’è piaciuto, le scosse leggere ti solleticavano, eccitavano... Ne avevi provate tante, questa ti mancava. Ti guardavo senza amore né odio.
Ho spinto in fondo l’interruttore. Hai irrigidito ogni muscolo, m’hai lanciato uno sguardo fosforescente e senza un grido m’hai abbandonato.
Chissà ora dove sei, elettrone libero.